Emergenza Alimentare Italia / Dal campo al cassonetto quanto cibo sprecato

 

Le mense Caritas scoppiano ma migliaia di quintali di ortaggi e frutta vengono mandati al macero perché troppo piccoli o troppo grandi. Nella zona di Suvereto,
quest'anno i campi di Pier Paolo Pasquini hanno prodotto 200 quintali di meloni per ettaro.
Sugli scaffali dell'Esselunga di Firenze e Milano, ne sono arrivati la metà. Il 50% «è stato buttato nei cassoni come rifiuto organico». Scartato perché non risponde ai criteri di vendita (misure, dimensioni, peso) imposti dall'Unione Europea.
Se pesa meno di 1 chilo o più di un chilo e 600 grammi, non va bene per i supermercati; spesso neppure per i mercati generali. Se non c'è un modo per trasformare il prodotto, l'alternativa è fra l'allevamento dei maiali o il cassonetto, terminale della filiera dello spreco.

Migliaia di quintali al macero. Il fenomeno dello scarto di cibo anche in Toscana è enorme, malgrado l'aumento di persone che si rivolgono a Caritas, associazioni di volontariato, parrocchie per pasti caldi e pacchi di viveri. Dal 2013 il Banco alimentare di Firenze ha a carico 20mila persone in più rispetto al 2012. Eppure questo non basta a ridimensionare lo spreco alimentare che ha origine dalla produzione, soprattutto agricola. Emblematici sono i dati forniti da Francesco Viaggi, presidente della Cooperativa Agricola Ortofrutta Grosseto, che raccoglie la produzione di centinaia di aziende destinata all'Esselunga di Milano e Firenze.
Viaggi ammette che nel 2012 la coop ha scartato 7.000 quintali tra frutta e verdura, nonostante le attività di trasformazione messe in piedi, per produrre sott'olii, purè di frutta, marmellate. Nel 2013 è andata un pò meglio: lo scarto è stato di 4.300 quintali, grazie anche al fatto che Caritas ha ritirato 1000-1500 quintali di prodotti, ma l'anno ancora non è finito.
«E comunque - aggiunge - sulle colture - uno scarto del 20% ci sarà sempre, a causa dell'andamento stagionale, delle eventuali malattie che aggrediscono le coltivazioni, delle possibili grandinate».

Scarti di produzione fino al 50%. Il problema - prosegue Viaggi è quando gli scarti nei campi «raggiungono il 50% a causa di pezzature e qualità». La  questione si presenta ogni settimana «con tutte le produzioni, per ortaggi fuori calibro (il cavolfiore troppo piccolo o troppo grande), macchiati o rotti a causa delle gelate o della grandine (spinaci e bietola) per l'eccesso di offerta che riguardano prodotti deperibili: o vengono assorbiti subito dal mercato o non sono più servibili.
E se non sono trasformabili, cerchiamo di garantire una destinazione zootecnica: per gli allevamenti di bovini, di maiali, di pecore. Tentiamo di mandare meno prodotto possibile in discarica». Mentre nel carrello degli italiani - secondo un'indagine di Coop - dal 2009 a12013 - l'acquisto di frutta è calato del 3,2% e quello di verdura del 2,6%.

Il prodotto resta nel campo. Spesso, però, succede che gli ortaggi non facciano neppure in tempo ad arrivare al cassonetto.
«Il prodotto non viene proprio raccolto. Questo accade se la "sofferenza" supera il gusto. Se le difficoltà del mercato superano la domanda», specifica Viaggi. E avviene soprattutto per colture come il melone, il cocomero, lo zucchino (ma non con il fiore, sempre molto richiesto). Specie se pagato 5 centesimi al chilo al contadino.
La mancata raccolta, dunque, è un problema di costi, spiega Pier Paolo Pasquini, vicepresidente di Confederazione Agricoltori (Cia) di Livorno: «Riprendiamo l'esempio dei meloni. Per coltivarli, io spendo 10mila euro all'ettaro se la produzione è coperta; 5-6mila euro l'ettaro per la produzione di luglio e agosto, in campo aperto oltre 1000-1500 euro a ettaro per la raccolta.
Quest'anno, il prezzo del melone estivo stabilito dalla coop di Grosseto alla quale conferiamo il prodotto per la grande distribuzione è stato di 50 centesimi al chilo». Ma la coop - ricorda Pasquini - «ci paga il prodotto venduto al supermercato, non quello ritirato. Visto che il 50% è stato buttato via, dal melone la mia azienda ha ricavato 25 centesimi il chilo.
Avendo saputo prima il prezzo, avremmo lasciato i meloni nel campo: almeno avremmo risparmiato i soldi della raccolta».
Purtroppo «non conosciamo mai il prezzo in anticipo e quindi ci muoviamo sempre al buio». Come per i pomodori da insalata, pagati dalla coop 70 centesimi al chilo e rivenduti dall'Esselunga a 2,99 euro al kg. «L'unica consolazione - dice Pasquini - è che sui pomodori lo scarto è inferiore».

I prodotti non acquistati. Ma anche dove lo scarto è inferiore prosegue Pasquini - non c'è nulla che metta al riparo i produttori da un'altra incognita: il mancato acquisto della merce.
«Anche se esistono accordi con i produttori - conferma - e i supermercati vedono che un prodotto non va, non lo comprano. Così aumenta la quantità dello scarto».
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Fonte: Il Tirreno - di Ilaria Bonuccelli