Reggio Calabria: alla mensa della fraternità il fulcro delle derrate è garantito dal Banco Alimentare della Calabria


È uno dei ristoranti più frequentati della città. Anzi i suoi clienti crescono, giorno dopo giorno. Purtroppo. La mensa della fraternità della Fondazione Lucianum è il punto di riferimento cittadino, quasi esclusivo, per quanti non sanno come mettere insieme il pranzo con la cena. Uomini e donne invisibili, che si materializzano di fronte alla porticina nella traversa di via De Nava, ben prima delle 11, orario ufficiale di apertura, aspettando pazientemente che venga consentito l`accesso. Poi tutti dentro, ordinatamente, una firma sul registro e un posto a tavola nella linda e accogliente sala da pranzo a mangiare primo, secondo, pane e acqua, yogurt o frutta. E poi di nuovo via ad affrontare le difficoltà di ogni giorno portando via ancora qualcosa per la cena. Ogni giorno dell’anno, festivi inclusi.
Senza sosta. I numeri come sempre danno la cifra dell’indigenza. Si è passati dalle oltre 37mila presenze del 2010 ai 41.199 pasti serviti l’anno scorso. Una media di 130 persone al giorno che sopravvivono e non disperano grazie a questo indispensabile servizio pubblico e gratuito. Non solo extracomunitari ma anche tanti concittadini con alle spalle separazioni familiari o la traumatica perdita del posto di lavoro. Il parroco di Santa Lucia, don Mimmo Geraci, tiene a questa opera più che a ogni altra. E si che di iniziative, proposte e servizi la parrocchia del Centro è estremamente ricca.

Ma quando parla della sua mensa ha un sussulto particolare e, ad 82 anni suonati e “tagliandati" di fresco al Policlinico, si commuove teneramente: «Prima che nasca la luce del nuovo giorno - ci dice allargando le braccia e corrugando la fronte - Dio padre provvede». Non direttamente e chiaro (o se cosi avviene a noi non lo racconta di certo. . ,) ma tramite le scelte e le disponibilità di una miriade di benefattori che hanno capito come la fede senza le opere sia priva del suo senso più profondo. Il fulcro delle derrate è garantito dal Banco Alimentare. Ma intorno a questo flusso primario ruotano gli innesti, letteralmente provvidenziali. ll furgone della parrocchia fa la spola fra i supermercati e quasi mai il conducente esce a mani vuote. E poi ci sono gli esercizi pubblici, come i negozi di frutta e verdura, e anche i semplici cittadini. «Qualche giorno fa è venuto un signore che ha lasciato 7 provole. Non ci ha neanche voluto dire il nome. . .», afferma l’anziano sacerdote mentre la commozione gli impedisce di completare la frase. Per ognuno di questi il parroco ripete mille volte grazie come se avessero sfamato lui in persona ma al tempo stesso si dichiara inquieto e insofferente.

Non si rassegna all’idea che con il superfluo che si spreca a Reggio si potrebbero sfamare tranquillamente ben più di 130 persone al giorno. Si potrebbe fare ancora di più. Quanto cibo passa direttamente dal frigo o dalla tavola alla spazzatura? Quanti gustosissimi contorni dei famosi aperitivi serviti ai tavolini del Corso e della via Marina vengono gettati nei cassonetti pur non essendo stati neanche sfiorati? Possibile – si chiede sconcertato don Geraci - che non ci sia il modo di salvare quei resti nel rispetto delle regole di igiene, per sfamare persone, compresi molti bambini, che l’aperitivo non se lo possono di certo permettere?

La risposta a questa domanda è nella sensibilità e nella capacità organizzativa degli operatori commerciali cui si fa appello. Dal canto suo, don Geraci ha provato a dare un contributo ulteriore con una nuova iniziativa che sta aumentando la tachicardia dei suoi collaboratori. Con lo slogan “Ogni giorno una provvista di pane” vuole garantire la distribuzione dell’alimento basilare anche per il pomeriggio. La nuova proposta nasce dalla disponibilità di alcuni panifici del centro e della periferia che portano alla mensa il pane del giorno prima, assolutamente ottimo da mangiare e nel pieno rispetto delle norme igieniche. Una sorta di moltiplicazione dei pani rivista e corretta nel Terzo Millennio con l’auspicio che anche per la nuova opera si possa scrivere, magari non proprio nella Bibbia, «e alla fine ne portarono via dodici ceste.»