Il Banco Alimentare del Lazio? Vi dico come è nato...

Colloquio con Paolo Dughiero

Domanda scontata, questa, ma porta lontano:

Dove hai partecipato all’ultima colletta pubblica del Banco Alimentare del Lazio?

Al Pewex di via del Serafico. Normalmente vado dove gli amici mi dicono di aver bisogno.

 Paolo Dughiero, medico dentista a Roma, originario di Terni, è uno dei volontari del Banco Alimentare del Lazio. Perché lo abbiamo cercato? Andate avanti e capirete.

A quante collette alimentari hai partecipato?

Beh, potrei dire tutte. O quasi…

C’eri anche alla prima, storica, colletta del Banco Alimentare?

Sì e no…

Che significa?

La prima a dir la verità l’ho mancata. Avevamo iniziato a vedere come partire con il Banco Alimentare anche nel Lazio, ma a novembre non eravamo ancora pronti.  Saremmo poi partiti alla fine di dicembre, distribuendo in gran parte proprio i prodotti provenienti dalla prima Colletta appena effettuata da tutti gli altri Banchi.

Tutte meno una, dunque. Che anno era?

Il 1997 per la prima nazionale (quella che abbiamo distribuito senza partecipare direttamente). Il 1998 per quella ufficiale anche per il Banco Alimentare del Lazio.

Insomma, già da qui si capisce che il volontario Paolo Dughiero è la memoria storica del banco. Non solo. Senza di lui il non ci sarebbe stato (oppure, nel migliore dei casi, chissà quando sarebbe partito) il Banco Alimentare del Lazio ODV. Ma a Paolo questo non ditelo. Vi risponderebbe così: “Ho sempre avuto chiaro che chiunque ci fosse stato, io oppure un’altra persona, questa grande opera di solidarietà sarebbe nata lo stesso: è un Altro che l’ha sostenuta e la sostiene. Un Altro con la “A” maiuscola”.

Dughiero non gira intorno né alle proprie convinzioni né davanti alle difficoltà, e forse è proprio per questo è stato il perno intorno al quale si sono addensati tentativi, speranze, generosità e, come tutte le cose veramente umane, anche battute d’arresto, contrasti ed asprezze. Raccontando, sia pure ad ampie pennellate, la sua storia personale, si parla inevitabilmente anche delle origini del Banco.

Come ti sei trovato in mezzo a questa storia?

Beh, non ci pensavo nemmeno. Avevo contatti con alcuni amici della Lombardia impegnati nell’AVSI, l’organizzazione non governativa di cooperazione allo sviluppo in molti paesi. Mi incuriosivano e accettai di partecipare ad una loro vacanza.

Dunque, da quella vacanza di lavoro…

No, la questione era un’altra: io ero affascinato dal rapporto di amicizia che c’era tra queste persone; dalla naturalezza con cui vivevano la normalità; dalla familiarità che si manifestava ad esempio trattando i figli degli altri come fossero i propri. All’interno di questo c’era, poi, anche l’intensa attività di volontariato. Facevano venire la voglia di essere, e fare, come loro.

Potevi andare a Milano, allora.

Piuttosto, volevo vivere qualcosa del genere a Roma. Mi venne dato un consiglio che ho tenuto a mente tornando dai miei amici: parti dalla condivisione del bisogno, inizia dalle necessità che ci sono, aiutatevi tra voi. Da questa base avrei potuto capire quando, se e come, rischiare con qualcosa di più grande.

Nacque così l’idea del Banco Alimentare a Roma?

Niente di automatico. Grazie a mio figlio, in prima elementare in una scuola cattolica, ebbi l’occasione di mettere alla prova il consiglio sul bisogno concreto delle persone. Infatti a scuola un altro papà aveva segnalato delle famiglie in difficoltà e, soprattutto, il caso di alcune suore bisognose che però non accettavano donazioni in denaro: solo alimenti.

Ecco, ci siamo allora. 

Provammo ad iniziare. Non volevamo fermarci al pur importante aiuto del momento, ma dare una stabilità strutturale al nostro tentativo. Alimenti, non soldi? Incominciai ad informarmi, a prendere contatto con chi già batteva questa strada, sapevo di miei amici che avevano iniziato questa esperienza in altre parti d’Italia, ma a Roma ancora non erano arrivati. Fu così che mi rivolsi alla Fondazione del Banco Alimentare, con sede a Monza. Era il gennaio 1997. Concordammo un appuntamento per un lunedì mattina con Marco Lucchini, il direttore.

Cosa ti venne detto in quell’incontro a Monza?

Non ci fu nessun incontro. Io e Luca, uno degli amici con i quali volevamo condividere questa avventura, prenotammo subito il biglietto del treno per una domenica sera, ma alla stazione trovammo i treni per Milano cancellati per un grave deragliamento ferroviario.

Sembra una scusa “laboriosa”…

Purtroppo non fu una scusa, ci furono 8 morti e 29 feriti e lo scalpore crebbe quando si seppe che sul treno c’era anche il presidente Cossiga. Potete controllare. Volevamo prendere l’aereo la mattina successiva ma ci fu detto che non c’era tutta questa urgenza e un’altra occasione l’avremmo trovata.

Racconta.

Dopo qualche mese in cui verificai meglio se fosse realistico imbarcarsi in questa avventura, fissammo un nuovo appuntamento. Lucchini doveva recarsi per altri impegni a Perugia e decidemmo di approfittarne vedendoci lì. Era settembre. Ci credereste? Scoppiò il terremoto che devastò Assisi e Perugia. Niente incontro anche questa volta.

Non essendoci stati altri disastri, deduco che abbiate cambiato programma…

Avevamo desiderio di andare avanti, ma avevamo bisogno di imparare come e cosa fare. Uno dei Banchi Alimentari più grandi collegati alla Fondazione di Monza era quello di Caserta. Ed andammo a Caserta, questa volta. Un incontro fondamentale per avviare quello che sarebbe diventato poi il Banco Alimentare del Lazio.

Tornati sani e salvi a Roma, cosa avete fatto? 

Non fu facile, perché non avevamo esperienza in questo settore e partivamo da zero. I problemi erano tanti, dalla necessità di coinvolgere più gente possibile per dare continuità all’organizzazione, a tutta una serie problemi logistici ed amministrativi; per non parlare delle norme burocratiche e, purtroppo, delle diffidenze di ogni genere da parte di chi temeva invasioni di campo. Ed essendo tutti volontari, al tempo stesso dovevamo lavorare e pensare alle nostre famiglie. Ma sapevamo che se il Banco Alimentare era diventato la mano della Provvidenza per molte realtà, allora sarebbe stata la stessa Provvidenza ad aiutarci e, in caso contrario, avrebbe significato che sarebbe rimasto solo una cosa nostra e quindi, alla fine, inutile.

Stai usando il plurale.

Sì. Anche se allora eravamo veramente in pochi. Iniziai a coinvolgere chi mi stava vicino e sempre più anche la mia famiglia: mia moglie prese in mano la segreteria. Ma potevamo contare sul sostegno morale, sui suggerimenti, e qualche volta finanche sull’incoscienza, degli amici che stavano più avanti di noi in questa esperienza in altre parti d’Italia.  

Comunque, arrivaste ad organizzare formalmente il Banco.  

Detta così… Ho parlato non a caso di incoscienza. Mi viene ancora il sudore freddo pensando, ad esempio, a quando prendemmo in affitto un magazzino a Pomezia: avevamo il supporto della Fondazione, ma sapevamo che avremmo dovuto imparare a camminare da soli. Andate avanti, andate avanti ci dicevano i nostri amici. Come si vede oggi, avevano ragione.

E oggi, ricapitolando, possiamo dire che nel dicembre 1997 venne costituito il Comitato del Lazio della Fondazione Banco Alimentare, sfociata poi nel 2000 nell’Associazione Banco Alimentare del Lazio ONLUS, e infine nel 2021, con l’adeguamento dello statuto, diventa Banco Alimentare del Lazio ODV. Mi hanno detto che sei andato tu dal notaio per i primi due atti. 

In quei tempi c’erano i Comitati, che agivano su delega della Fondazione di Monza e demmo vita davanti a un notaio al Comitato Alimentare del Lazio. Ricordo perfettamente il momento della prima firma dal notaio. Eravamo in tre. In un certo senso anche questo atto fu una scelta di non ritorno rispetto al variegato mondo del volontariato e al contesto ideologico e sociale dell’epoca.

Quale fu la prima “uscita” pubblica?

Tra Natale e Capodanno, esattamente il 28 dicembre 1997, venne organizzata la prima distribuzione di cibo alle strutture caritative, aiutati da alcuni volontari del Banco di Caserta utilizzando come base proprio il magazzino di Pomezia.

Hai citato spesso la tua famiglia.

Sono stati i primi ad essere coinvolti nel bene e nel male perché l’impegno al Banco Alimentare portava via anche del tempo alla famiglia, ma i figli più grandi, che comunque non avevano più di dieci anni, erano contentissimi quando li portavo con me al magazzino. Diverse volte, ricordo, avevamo in distribuzione dei prodotti Kinder, impacchettati in scatole non pesanti che anche un bambino poteva sollevare. Proprio perché erano leggere, venivano accatastate ad una altezza di circa due metri, non eccessiva ma comunque disagevole quando bisognava prenderle. E uno dei ragazzi, messo sopra al bancale, faceva molto comodo per passare le scatole ai volontari di sotto. Alla fine, qualche ovetto Kinder ci scappava anche per loro.

Qualche altro episodio che ti viene in mente?

Ci fu un congresso internazionale sulla carità in Vaticano. Decisero, come parte integrante del congresso, anche di proporre ai partecipanti di visitare delle strutture dove la carità fosse all’opera. Venimmo scelti anche noi. Vennero così una trentina di persone alle quali oltre a spiegare (in inglese!) in cosa consistesse la nostra opera, facemmo assaggiare alcuni prodotti per dimostrare loro che la non commerciabilità non aveva niente a che vedere con la qualità. Ricordo ancora che avevamo i finali dei salami di una nota azienda di affettati in buste sottovuoto: ciò che non potevano affettare oltre, ce lo consegnavano. Avreste dovuto vedere la faccia dei delegati africani che non potevano credere che, se non ci fossimo stati noi, quei finali sarebbero diventati concimi o cibo per cani.

E in tutto questo, continuavi a lavorare.

Per forza. Ma la regola di coinvolgere chi mi stava vicino valeva anche per i miei pazienti. Sia chiaro. I primi volontari del Banco erano miei pazienti: appena sapevo di qualcuno che andava in pensione pur essendo ancora relativamente giovane, gli chiedevo se non avesse qualche al giorno al mese per aiutarci. Questa iniezione di esperienza fu un grande esempio. Che mi sembra abbia fatto da apripista.

C’erano anche i tuoi figli all’ultima colletta?

Sicuramente! Ora sono grandi e anche in altre città. Ma la sera dell’ultimo sabato di novembre ci raccontiamo dove e con chi abbiamo condiviso questo gesto. Sono sicuro che tra pochi anni entrerà in gioco anche la nuova generazione… avendo già due nipotine e un’altra in arrivo.