Pane, pizze e focacce | L’umanità in carcere in cerca di riscatto

Pane, pizze e focacce. Stendono la pasta con gesti veloci e sicuri, infornano, sfornano. Nel piccolo laboratorio fa un caldo insopportabile ma nessuno si lamenta. Anzi sorridono i quattro detenuti che ci accolgono e ci raccontano il loro lavoro e la loro passione. Pino, Beppe e gli altri. Ognuno ha una storia, ognuno è cosciente di dover scontare una pena. Nessuno di loro evita di riconoscere il male che li ha portati dietro le sbarre. Ma impastare, infornare e sfornare è un modo di riconciliarsi con la realtà, un modo di usare il tempo per compiere un cammino di redenzione, di cambiamento. Un’opportunità che loro hanno colto al volo e che gli restituisce dignità.

Qualcuno, prima di entrare, forse si sarà chiesto cosa c'entrava questa visita al carcere di Opera, con i lavori del Tavolo di Rete. Ma una volta dentro, una volta usciti, la risposta è chiara. Abbiamo incontrato un’umanità sofferente, persone che provano a ridare un senso ad una vita piegata dagli errori, dalla violenza. Un’umanità sofferente come tanti che incontriamo grazie al nostro lavoro di ogni giorno a favore dei poveri, Perché anche Pino, Beppe e gli altri sono poveri. Hanno bisogno di riempire l’anima.

Come racconta uno di loro. <Quando arrivi in carcere la tua anima è quasi del tutto svuotata. Una volta dentro si svuota del tutto. E poi è una battaglia quotidiana per riempirla di nuovo, goccia dopo goccia. Avervi incontrato oggi è una goccia in più e per questo vi ringraziamo>.

Il carcere fa paura, è sempre stato così. Si preferisce dimenticare, far finta che non esista. E’ sempre stato difficile, quasi impossibile, costruire un ponte tra il mondo esterno e quelle celle nascoste da alte mura. Il carcere fa paura, perché si pensa che lì dentro è rinchiuso il male ed è meglio così. Si è più tranquilli sapendo che chi ha compiuto degli errori, a volte gravissimi, resti chiuso dov’è. Sconti la sua pena fino alla fine e basta. Il carcere fa paura, perché non abbiamo a volte la minima coscienza della sofferenza che si racchiude dietro quelle mura.

Entrarci fa lo stesso effetto sempre. Quello sbattere di porte che si chiudono alle spalle, quei lunghi corridoi, quelle mani appoggiate alle finestrelle delle celle. Tu sai che di lì a qualche ore farai il percorso inverso e te ne andrai. Lo sai, ma ugualmente ti assale una sensazione di paura. Perché poi incontri gente che non farà quel percorso inverso. Dovrà restare lì dentro per lunghi anni ancora, qualcuno per tutta la vita. Eppure nessuno di quelli che abbiamo incontrato si è lamentato, ha parlato di ingiustizia, si è ribellato, Pino, Beppe e gli altri hanno l’assoluta coscienza di meritare quella sofferenza. Semplicemente chiedono una speranza. La speranza di riscattare una vita, la speranza di non essere dimenticati. Di rendere dignitosa una vita dentro il carcere che senza il lavoro, senza rapporti con l’esterno, non ha nessuna dignità.

Incontriamo di nuovo Pino, Beppe e gli altri all’ora di pranzo. Hanno offerto pizze e focacce. Sono davvero buone. E’ il frutto del loro lavoro. Ci raccontano e ci chiedono di raccontare. Vogliono sapere cosa sia il Banco Alimentare. Rimangono stupiti, ci ringraziano di quello che facciamo. Uno di loro racconta che qualche mese prima era uscito per il primo permesso premio, dopo 15 anni. Era andato a trovare la vecchia madre, E la cosa che più lo aveva stupito era aver preso i mezzi pubblici ed aver notato che la gente non si parlava più. <Ai miei tempi sul tram si scambiavano due parole, oggi son tutti piegati sui telefonini e non si guardano nemmeno>. Ma poi aggiunge: <Il mondo è cambiato ma i poveri ci sono sempre. Ecco perché è importante quello che fate>.

Sono trascorse quattro ore ma è stato un lampo. I nostri amici carcerati ci salutano con un abbraccio pieno di gratitudine. Tornano in cella, noi riprendiamo il cammino lungo quei lunghi corridoi verso l’uscita. Quel percorso inverso che loro non faranno. C’è il tempo per un ultimo sguardo verso quelle alte mura che oggi fanno un po’ meno paura.