Alimenti scaduti: quanto si rischia?

 

Spesso siamo invitati a consumarli, ma nei prodotti ci possono essere alterazioni chimiche e microbiologiche

MILANO - Ogni anno finiscono nei cassonetti 17.775.585 tonnellate di alimenti, che tradotte in euro equivalgono al tre per cento del Pil, e che potrebbero sfamare 44 milioni di italiani. E si calcola anche che 75.000 tonnellate di cibo siano ritirate dalla catena distributiva prima della scadenza, e che 17,7 milioni di tonnellate di produzione agricola restino nei campi a marcire. Le cifre, contenute nel "Libro nero dello spreco alimentare in Italia" - un rapporto curato da Last minute market - sono state snocciolate più volte nelle scorse settimane, anche perché Bruxelles ha deciso di dedicare il 2011 alla lotta contro questo fenomeno. Per contrastare la piaga, da più parti si è quindi sottolineata la necessità di cambiare rotta. È però singolare che gli inviti ad acquistare solo ciò che realmente si consumerà (che pure ci sono stati) siano stati soverchiati da una pletora di altri messaggi, spesso volti a incoraggiare scelte che, dal punto di vista della salute, pongono qualche problema.

Tabella: alimenti e relative scadenze

ETICHETTE - Da tv e giornali, infatti, siamo stati invitati a mangiare alimenti scaduti, e questa è un’indicazione che fa a pugni con la regola numero uno della sicurezza alimentare: quella cioè di controllare le etichette e rispettare la scadenza. Chi ha ragione? «Se i cibi hanno una scadenza significa che c’è un motivo - premette Laura Toti, microbiologia del Dipartimento di sicurezza alimentare dell’Istituto superiore di sanità -. Dopo la data indicata sulle confezioni, infatti, si verificano alterazioni chimiche e microbiologiche che modificano le caratteristiche nutrizionali e organolettiche del prodotto, e che a volte sono anche pericolose per la salute. Inoltre, va tenuto ben presente che chi mangia alimenti scaduti lo fa a suo rischio e pericolo: se subisce dei danni non può avanzare rivendicazioni di nessun tipo, perché la legge non lo tutela. Un po' di margine, tuttavia, può esserci, ma non per tutti gli alimenti e, soprattutto, soltanto se i cibi sono conservati in condizioni ottimali». Una distinzione importante è quella fra i prodotti che riportano una scadenza perentoria ("da consumarsi entro") e quelli su cui è scritto "da consumarsi preferibilmente entro".

DETERIORAMENTO - Infatti, «mentre questi ultimi possono essere consumati anche per qualche tempo oltre la scadenza, senza danni per la salute, i primi si deteriorano molto più rapidamente, con una perdita molto netta delle qualità tipiche del prodotto, e anche con possibili conseguenze per la salute - prosegue Toti -. Per esempio, se è vero che uno yogurt può essere mangiato anche il giorno dopo la scadenza, è vero anche che la quantità di fermenti sarà inferiore a quella indicata e che quindi i benefici che questi microrganismi possono portare sono minori». In generale, la normativa in vigore prevede che sui prodotti che si conservano meno di tre mesi (come yogurt e mozzarelle) siano specificati giorno e mese della scadenza; per quelli che durano fino a 18 mesi (per esempio maionese, pasta all’uovo e merendine) siano indicati il mese e l’anno, mentre sugli alimenti che possono superare i 18 mesi (come pasta, succhi di frutta, conserve e marmellate) deve essere indicato solamente l’anno. Questi ultimi sono anche quelli che tollerano meglio l’invecchiamento, e che quindi possono essere consumati per tempi più lunghi dopo la data di scadenza.

Margherita Fronte

Fonte: Corriere.it