Corriere della Sera: Il nuovo equilibrio del cibo solidale

Fonte: Corriere della Sera, Cook

IL NUOVO EQUILIBRIO DEL CIBO SOLIDALE

L'appuntamento è alle 7 del mattino in un Centro nella prima periferia di Milano. Tre furgoni, un gruppo di volontari, la scelta dei percorsi e la distribuzione delle schede dove sono indicati i luoghi dei ritiri delle eccedenze e le consegne immediate agli enti caritatevoli.

Gianluigi Peschiera ha 69 anni, ex impiegato, volontario per il Banco alimentare da quando è andato in pensione, guida un furgone per il progetto Siticibo, l'attività di ritiro di alimenti cucinati e freschi, integri e non serviti, da mense e pasticcerie. «Prima del Covid lavoravamo dal martedì al venerdì, mattina e pomeriggio, con tre mezzi e percorsi diversi», racconta. Poi tutto è cambiato. Il lockdown, mense e scuole chiuse, locali e ristorazione con le saracinesche abbassate. «Siamo stati fermi per un lungo periodo, poi siamo ripartiti. Lentamente, con difficoltà. Non ci fermiamo, ma è più dura». Perché l'offerta da quei canali si è praticamente azzerata. Mentre la domanda cresce a dismisura.

Approvvigionamenti e nuovo paniere
Nuovi poveri, più richiesta, meno canali di approvvigionamento. Poteva essere un disastro. Ma il sistema degli aiuti si è adattato e ha retto. Costretto a trovare un nuovo equilibrio per garantire a tutti pasti e alimenti, ha fatto leva su esperienza, organizzazione e intensificazione della rete di prossimità. Ma anche su una nuova gestione dei flussi: spariva gran parte del recupero di cibo fresco e cotto che arrivava dal settore della ristorazione commerciale e collettiva, da hotel, mense aziendali e ospedaliere, scuole, esercizi al dettaglio e navi da crociera. Però, quasi un paradosso, aumentavano le donazioni da parte di privati, aziende e grande distribuzione (Gdo), ridisegnando così anche il «cestino» della raccolta. Meno pane, meno frutta e verdura e meno piatti pronti e prodotti freschi. Molti più legumi, alimenti per linfanzia, succhi e bibite e più disponibilità di pasta, sughi e cibo in scatola. E se cambia il paniere, va garantita non solo la distribuzione ma anche l'equilibrio nutrizionale dei pacchi alimentari per le mense e gli aiuti. Come è andata? In una prima fase, all'inizio della pandemia, con le chiusure di mense aziendali e scolastiche, organizzazioni come il Banco hanno addirittura incrementato i loro volumi di raccolta, recuperando le scorte accumulate dalle diverse strutture, mense e affini, che non sarebbero state utilizzate. Ma poi il protrarsi del lockdown, il ricorso sistematico allo smart worldng e il taglio dei servizi mensa ha di fatto chiuso un rubinetto che garantiva flussi strutturali. Alcune modalità di recupero (pane e frutta dalle scuole, ad esempio, e cibo cotto ed eccedenze dalle mense) sono state sospese durante il 2020 e altre ridotte. «Di fatto ci siamo fermati -ricorda Peschiera -, niente più recuperi e consegne». Una difficoltà che ha coinvolto tutte le grandi realtà dell'assistenza alimentare, come Caritas o Emergency. E la fitta rete di cooperative e associazioni. E allora? La risposta è stata non solo continuare, ma incrementare l'attività, rivedere i flussi, la logistica, i processi di stoccaggio, trasformazione e consegna. In poche parole, far tesoro della specializzazione maturata negli anni, e provare a reagire.

Banco Alimentare ha registrato una crescita di richieste di aiuto superiore del 40% rispetto al 2019 (e gli assistiti sono passati da 1,5 milioni a circa 2,1), e supportato oltre 8.000 strutture (erano 7.490 nel 2019): mense per indigenti, centri di solidarietà, cooperative sociali. E così gli altri, di fronte a una situazione che peggiorava di giorno in giorno. «La pandemia ha avuto un impatto immediato e il lockdown ha di colpo generato nuovi bisogni e moltiplicato le richieste di aiuto -spiega il presidente del Banco Alimentate Giovanni Bruno -. Perché oltre alla chiusura delle attività, che già ha mandato in crisi migliaia di persone, si è fermato tutto un indotto di lavori precari e meno garantiti, di servizi saltuari o a chiamata, che dava reddito a intere famiglie». Reagire subito e prepararsi per il futuro, con la paura, non troppo velata, che il quadro peggiori, con l'incognita degli ammortizzatori sociali che potrebbero ridursi, del blocco dei licenziamenti che non si sa quanto andrà avanti. E il timore che la crisi abbia spazzato via un tessuto di lavoro che in parte stenterà a ripartire o non lo rifarà: migliaia di persone che rischiano di entrare nei canali degli aiuti.

La rete di prossimità
Il cambio dell'offerta di eccedenze alimentari, la diversa tipologia di prodotti, la rivoluzione nelle quantità ha così costretto tutti a trovare un nuovo equilibrio. E se il furgone di Siticibo guidato da Gianluigi non poteva più ritirare dalle mense, ormai chiuse, si è dovuto intervenire sul sistema di prossimità. La Caritas Ambrosiana, che opera nell'arcidiocesi di Milano, una delle più colpite dalla pandemia, da marzo scorso, nella sola area metropolitana, ha fatto fronte a un incremento di richieste di aiuti del 121% (oltre 3mila famiglie e 10mila persone). Ha però raccolto, tra Gdo e grossisti di Milano, più di i 27mila chili di eccedenze alimentari, altri 8oomila sono arrivati dalle donazioni e altri 243mila acquistati. Grazie agli operatori del Mercato ortofrutticolo, la quantità recuperata di frutta e verdura è più che triplicata (+365%): uniniezione di freschi fondamentale. «Un lavoro enorme, integrato da una rete di oltre 1.000 parrocchie, sia nella raccolta che nella distribuzione dei pacchi alimentari — spiega il direttore della Caritas ambrosiana Luciano Gualzetti —. Abbiamo fatto leva su un sistema capillare rodato e attivo, ma anche sulla capacità di stoccare e trasformare i prodotti (ad esempio, raccogliere i freschi e surgelarli, ndr), su una logistica di prossimità e sulla conoscenza non solo delle modalità ma anche e soprattutto delle persone e delle singole necessità». La Caritas ha così rafforzato la sua attività in Empori e Botteghe della Solidarietà, dove si acquistano per lo più generi alimentari con una tessera a punti. Ha mantenuto il lavoro nel Refettorio, il progetto con Food for Soul di Massimo Bottura («Le eccedenze non sono scarti ma ingredienti»), nato a Expo 2015, che da lunedì al venerdì, offre a 96 persone un pasto di tre portate: sempre aperto, più a lungo del solito e con ingressi a turni, viste le nuove esigenze. Ha aumentato i fondi per chi ha bisogno. «Abbiamo cercato di mantenere intatto il paniere disponibile, garantendo l'assistenza, ma soprattutto cercando di rafforzare il lavoro di accompagnamento verso la soluzione dei problemi dei singoli. Non basta tamponare, serve un lavoro strutturale». E questo grazie anche all'opera delle decine di centri di assistenza sparsi per il territorio. «Tra i tanti problemi e contraddizioni, anche sociali, evidenziati dalla pandemia, di sicuro il sistema solidarietà ha funzionato, anzi si è ampliato con donatori, volontari e attività di raccolta e intervento nei quartieri», aggiunge. Che ha permesso, anche, di sopperire a quei vuoti che si erano creati nella raccolta dei freschi dalla grande rete di mense aziendali e scolastiche, sostituendoli con una più fitta attività di vicinato. E mettendo così a frutto il supporto più forte da parte di industrie, aziende e Gdo. Questultima si è mossa con un importante incremento delle donazioni di prodotti, sia da scaffale che freschi, alle principali realtà di raccolta e con interventi più diretti. In questo senso un esempio tra tutti è il sistema Coop da anni radicata nel territorio e capace di muovere ingenti flussi alimentari: «Le cooperative di consumatori hanno donato 5.000 tonnellate di alimenti — spiegano — che sono 5,7 milioni di pasti, coinvolgendo 960 associazioni di volontariato». Ma la vera differenza è stata la prossimità: «Il 70% di queste donazioni sono stati prodotti freschi e freschissimi. La rete di associazioni, soci e dipendenti, la logistica e la conoscenza del territorio ha permesso un modello di donazione a chilometro zero: dai 680 punti vendita coinvolti (il 60% della rete Coop) si sono così raggiunti subito i destinatari degli aiuti». Con in più progetti molto mirati, come l'accordo con lAnci e la Protezione civile per la consegna giornaliera di 1.600 pasti attraverso oltre 500 associazioni. I numeri delle donazioni di tutta la Gdo sono cresciuti nel 2020: milioni di pasti donati ed eccedenze ridistribuite. «Eccedenze, non scarti, e questo è un punto fondamentale — sottolinea Giovanni Bruno —.

I prodotti recuperati sono tutti buoni, integri, con le loro caratteristiche nutrizionali intatte. Spesso mai andati in vendita o sui banchi. Niente a che vedere con gli scarti. Noi recuperiamo le sovraproduzioni, le eccedenze, i prodotti che il mercato non vuole o non utilizzerebbe più. Ridiamo valore a quello che per il mercato sembra averlo perso. E lo doniamo. Facciamo economia circolare da 30 anni. Non recuperiamo scarti alimentari ma evitiamo che tonnellate di prodotti lo diventino, riutilizzandoli, trasformandoli in risorse. Rimettendo in circolo alimenti che il mercato non vuole».

II sistema dei volontari
Grazie a uno sforzo immenso, specializzato, ma che si regge soprattutto su volontari. Già, i volontari, altro aspetto che si è complicato nel 2020. «Sono in particolare pensionati e over 65 che dedicano all'attività solidale tantissimo tempo e risorse», spiega Bruno. Ma il lockdown ha bloccato a casa tantissimi volontari e messo a dura prova lintera rete. «Abbiamo però assistito a una forte spinta da parte dei giovani o di chi, confinato nel suo luogo di residenza, ha deciso di dare una mano alle strutture più vicine». Ancora il supporto di prossimità, insomma. E così tutti sono andati avanti. Migliaia di aiuti occasionali, forse meno strutturati del solito, ma che hanno dato ossigeno al sistema, «Il nostro, e in particolare quest'anno, è uno sforzo di adattamento continuo — aggiunge Bruno —. Nuove esigenze e cambio del tipo cibi raccolti ci ha fatto rivedere filiera, modalità, tipo e luoghi di approvvigionamento. Abbiamo riorganizzato gli spazi, mettendoli in sicurezza, lavorato su ritiri e consegne, turni, stoccaggi e distribuzione. Un sistema che ha reagito grazie alla fortissima specializzazione». E anche alla digitalizzazione, come la collaborazione con la PwC (tra i leader mondiali della consulenza aziendale) che gratuitamente fornisce al Banco nuovi strumenti tecnologici per aumentare il volume delle eccedenze alimentari recuperate, automatizzare la parte amministrativa e ottimizzare il processo. Esperienza, organizzazione e nuove strade digitali. Così si è fatto fronte all'emergenza. E anche più donazioni. Il Banco, ad esempio, ha visto crescere di oltre il 40% il numero di aziende e industrie donatrici (arrivate a 1.600: «Un segnale importante di grande sensibilità», ha sottolineato il presidente Bruno), raggiungendo per la prima volta una raccolta superiore alle 100.000 tonnellate (100.170), mentre nel 2019 erano 75.450. Più forte il contributo di industria (22.500 tonnellate) e Ue (54.000), diminuito il raccolto di ortofrutta (nel 2020 4.100 tonnellate, — 2.582 rispetto al 2019) a causa soprattutto del calo delle produzioni, più difficoltoso, come detto, il recupero di freschi ed eccedenze. Equilibrato però dalle reti di prossimità e dai, tantissimi, piccoli ma capillari, interventi mirati. E si è trovato il punto di equilibrio. Senza dimenticare il sistema di aiuti pubblici, sia nazionali che europei, cresciuti nel 2020. «Il nostro è un ruolo sociale ma anche economico molto forte. Non è più solo una questione etica, di fare del bene. È molto di più. È una capacità nuova di leggere la realtà, un contributo per una società più sana, che risparmia risorse e ridà valore a eccedenze prima che diventino scarti e costi».

L'appuntamento dei volontari di Siticibo è sempre nello stesso punto. All'alba. Prima, per i ritiri di cibi freschi e cotti, partivano tre furgoni al giorno. Adesso sono due a settimana.