Il Foglio: Dare cibo non è assistenzialismo

Roma. “Da subito sono arrivati quelli che vivevano chiedendo la carità o vendendo rose nelle vie del centro, i lavavetri… una pletora di persone che prima portava a casa 10-15 euro al giorno e riusciva in qualche modo a campare. Poi quelli che fanno i ‘lavoretti’ in nero, che secondo l’Istat nel nostro paese sono 3 milioni e 700 mila persone. A questi si stanno aggiungendo sempre più piccoli artigiani, imbianchini, elettricisti, meccanici, fiorai, parrucchieri, chi ha contratti a chiamata per fare il cameriere, il barista, lo steward, le guide dei musei… Tutta gente che fa lavori che in questo periodo non ci sono più ma ha dei costi fissi da sostenere. Io li chiamo ‘i poveri della porta accanto’, quelli che apparentemente fanno una vita normale ma sono spesso costretti a scegliere tra il dentista, la gita scolastica del figlio e la spesa. E ora non ce la fanno più”. Dal 1989 la Fondazione Banco Alimentare raccoglie e recupera generi ed eccedenze alimentari della produzione agricola, dell’industria alimentare, della grande distribuzione e della ristorazione e le distribuisce alle strutture caritative che in Italia svolgono attività assistenziale verso le persone più indigenti. Nei giorni della pandemia il lavoro seminascosto dei volontari che danno da mangiare a chi non ha più niente è ancora più importante. Prima dell’emergenza il Banco Alimentare aiutava 7.500 strutture caritative che a loro volta aiutavano un milione e mezzo di persone. Numeri cresciuti di giorno in giorno.

Ne parla al Foglio Giovanni Bruno, presidente della Fondazione che coordina 21 Banchi sparsi sul territorio italiano: “Oltre all’emergenza sanitaria stiamo affrontando un’emergenza economica che è anche alimentare e sociale: i nuovi poveri aumentano, la scorsa settimana abbiamo registrato una crescita delle richieste del 20 per cento, con punte del 40 in zone come la Campania o il foggiano”.

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Fonte: ilfoglio.it