Non morirò di fame

"NON MORIRÒ DI FAME", L’ULTIMO LAVORO DEL REGISTA UMBERTO SPINAZZOLA. Dalla stella Michelin alla stalla degli scarti alimentari: un ex chef si fa carico delle contraddizioni del sistema.

Pier, chef stellato in un ristorante di Torino, a seguito di una profonda crisi depressiva dovuta alla chiusura del ristorante, abbandona improvvisamente città e famiglia finendo per divenire un senza fissa dimora. A distanza di due anni è però costretto a tornare per l'improvvisa scomparsa della moglie Carla incontrando la figlia Anna temporaneamente affidata alla zia Lucia. Pier decide di rimanere qualche giorno in città per definire le pratiche di affido di Anna e si sistema in una baracca che l'amico Annibale gli ha messo a disposizione. Ma Anna, inaspettatamente, decide di voler vivere con il padre trasferendosi anche lei nella baracca. Inizia a questo punto per Pier la sfida, tanto inattesa quanto per certi versi nuova, di ritrovarsi a svolgere il ruolo di padre con una figlia che di fatto non conosce, riscoprendo ed assumendosi responsabilità dimenticate o forse mai prese. Dall'incontro con Granata, un vecchio e colto clochard che sopravvive raccogliendo gli scarti alimentari, Pier inizia un viaggio nella realtà dello spreco alimentare che lo aiuterà a superare i traumi passati e a non sprecare il suo talento di chef, ritrovando allo stesso tempo anche il perduto rapporto con la figlia.

"Non morirò di fame" è una storia di solitudini - quelle certamente di Pier e di Granata - ma anche di amicizia e di amore che Pier ritrova in Annibale e nella figlia Anna.

In chiave simbolica, affrontando il tema dello spreco, il film riesce quindi con naturalezza ed efficacia ad associare il tema del recupero degli scarti alimentari al recupero degli affetti personali.

La regia di Umberto Spinazzola tradisce (in senso positivo) l'esperienza maturata nella trasmissione televisiva Masterchef Italia, soprattutto quando la macchina da presa indugia sui particolari delle ricette che Pier crea rielaborando gli avanzi, riuscendo nel contempo a "dosare" con maestria tanto i tempi della commedia quanto quelli del dramma, rimandando la memoria a inquadrature e passaggi temporali tipici della poetica dei film di Frank Capra.