Dalla carta ai cartoni. Il traguardo di Enos

Dalla carta ai cartoni: è il percorso di Enos che, dopo 40 anni da impiegato tecnico alla Mondadori di Verona passati a curare i rapporti con i clienti della casa editrice, ora svolge un lavoro molto simile al Banco Alimentare del Veneto: tiene i contatti con oltre 440 enti che ogni mese ricevono i prodotti raccolti. Enos è un tipo che non ha mai pensato soltanto a sé stesso. Dava una mano in parrocchia, nel quartiere di Borgo Venezia a Verona; sosteneva gli alcolisti che volevano uscire dalla dipendenza; faceva la raccolta della carta per aiutare qualche opera di carità. Poco prima di andare in pensione, un collega gli dice che c’è una cosa interessante. «In quel periodo non ero sereno, non ho mai pensato alla pensione come a un grande traguardo», sorride Enos. Quella «cosa interessante» era una festa per i volontari del Banco Alimentare, dove conobbe il presidente e altri volontari, e si rese disponibile per dare una mano. 

Gli inizi furono molto semplici. Il magazzino era in un vecchio capannone dall’entrata stretta, dove movimentare gli scatoloni non era agevole e ancora meno facili erano le manovre dei furgoni nel piazzale. Enos aiutava a caricare le provviste sui mezzi degli enti: «Mi piaceva la pura manovalanza, più il lavoro era semplice più mi divertivo. Il momento più bello era la Colletta, andare nei supermercati, caricare i pacchi e alla sera smistarli nel magazzino». Ben presto gli fu affidato anche il compito di tenere i contatti con gli enti. Una mattina al telefono e un pomeriggio al magazzino. L’ufficio era una stanzetta concessa da un convento di suore missionarie. «I responsabili delle opere di carità chiamavano e noi comunicavamo che cosa potevano prendere», ricorda. «Era un passo avanti rispetto al periodo iniziale, che consentiva loro di sapere in anticipo cosa avrebbero ricevuto e capivano anche con quali mezzi venire a ritirare i prodotti». 

Ogni mese Enos e altri volontari si riunivano per raccontare come andava e affrontare le difficoltà, persone dotate di tanto impegno e buona volontà. Ma i bisogni crescevano, gli enti continuavano ad aumentare e noi dovevamo stare al passo. Il mio stesso lavoro cambiava e a me piaceva affrontare la situazione per quanto essa richiede. Tutta la mia persona vi era coinvolta, con l’esperienza maturata in tanti anni di lavoro, la voglia di aiutare le persone più fragili e il desiderio di trovare soluzioni e venire incontro alle necessità reali». Nelle telefonate con i responsabili degli enti di carità, emerge per esempio che ognuno ha esigenze proprie ed è opportuno adeguare le consegne, perché una mensa dei poveri non ha le stesse necessità di un convento o di un centro di accoglienza. Si compie così un altro passo avanti: la concretezza del lavoro suggerisce che è il momento di impostare un rapporto più personalizzato con le opere caritative, il cui numero nel frattempo continuava a crescere.  

Arriva la pandemia ma il Banco non si ferma. Anche per Enos scatta la fase dello “smart working”, con le telefonate trasferite automaticamente sul suo cellulare e la necessità di reinventarsi un’organizzazione. «Ho deciso di cambiare sistema», spiega: «Ora che vedevo i numeri di chi chiamava, li registravo e chiamavo. Loro evitavano di perdere ore cercando di prendere la linea mentre io avevo più tempo per parlare e capire le necessità di ciascuno. Con alcuni siamo diventati amici telefonici. Così è molto più utile e appagante e ho capito io stesso che facevo qualcosa di utile per loro ma anche per me. Il rapporto umano è la parte migliore del lavoro al Banco».