Italiani sempre più poveri e disuguali di fronte alla salute

Ad oggi oltre un milione di famiglie italiane sono in difficoltà economiche per le spese sanitarie e la differenza dell’aspettativa di vita tra Nord e Sud e tra ricchi e poveri è sempre più evidente.

Dal 2009, nonostante l’elevata qualità delle cure, la spesa pubblica italiana per la sanità è diminuita progressivamente: una politica di de-finanziamento che ci accomuna sempre più ai Paesi dell’Est Europa. Spendiamo, infatti, il 31,3% in meno degli altri Paesi dell’Europa occidentale.

Proprio per questo continuano a lievitare le spese delle famiglie per la sanità privata, arrivando agli attuali 40 miliardi di euro. Tutto ciò, oltre ad avere conseguenze drammatiche per i bilanci familiari, aggrava le disuguaglianze sociali e territoriali: in tutto, tra coloro che hanno avuto difficoltà economiche e coloro che sono scivolati addirittura sotto la soglia di povertà, il problema dei costi sanitari ha toccato quasi un milione e centomila le famiglie.

Tra queste ultime, la quota di famiglie che ha avuto problemi economici, senza però dover dichiarare bancarotta, è circa il 6%. Ma, se in Piemonte sono meno del 3%, al Sud sono molte di più (in Calabria il 12% delle famiglie, in Sicilia il 10% e in Sardegna il 9%). Senza dimenticare i problemi in Umbria e in Liguria con rispettivamente il 10% e il 7% delle famiglie costrette a subire disagi economici.

Lo stesso vale per gli oltre 350 mila nuclei familiari che, per potersi curare, hanno dovuto attingere alle loro tasche, scivolando così al di sotto della soglia di povertà. Un dramma che impatta sullo 0,5% delle famiglie piemontesi, ma sul 4% e più della Basilicata o il 3,6% della Calabria.

Due sono le cose: o ci si impoverisce oppure si rinuncia alle cure. Così, circa il 17% delle famiglie ha cercato di risparmiare rinviando a tempi migliori una visita medica, mentre più di un milione e centomila famiglie hanno deciso di annullare qualsiasi appuntamento sanitario.

Gli effetti di questo disagio economico si riflettono sulla salute degli italiani. Così, come si evince dal 13esimo Rapporto del CREA Sanità (Istituto di Ricerca dell’Università Tor Vergata di Roma), al Sud gli ultra 65enni hanno davanti a sé tre anni di vita in meno che nel resto d' Italia. E se al Nord in media si può sperare di vivere in buona salute fino a 60 anni, al Sud l'aspettativa di vita scende a 55 anni, toccando il minimo di 52 anni in Calabria. Altri dati dell'Osservatorio Italiano della Salute rilevano che al Sud l'aspettativa di vita è tornata ai livelli del dopoguerra (Campania e Sicilia hanno valori uguali a Bulgaria e Romania), mentre nelle Marche e a Trento si hanno davanti gli stessi anni di vita degli svedesi.

Istituto Superiore di Sanità, AIFA, AGENAS e Istituto per il contrasto delle Malattie nella Povertà hanno condotto un anno fa uno studio, evidenziando come chi abbia un reddito superiore alla media inizi ad accusare i primi acciacchi a 70 anni, mentre chi ha un basso reddito inizia a stare meno bene tra i 60 e i 64 anni. Insomma: di fronte alla malattia non siamo tutti uguali.

Nonostante ciò, il nostro servizio sanitario nazionale è ancora un'eccellenza europea. Pur con grandi differenze territoriali e sociali, per aspettativa di vita siamo secondi solo alla Spagna: in Italia a 65 anni si può sperare di vivere molto bene per altri 10 anni. E ancora: per quanto riguarda i tumori il tasso di mortalità in Italia è inferiore rispetto alla media europea, mentre in caso di infarto i nostri tassi di sopravvivenza sono i migliori del mondo occidentale. Con queste performance varrebbe forse la pena tornare a investire in sanità pubblica!