Viva l'Italia!

Arriviamo in una stradina laterale di una zona popolare di Torino. Un nostro mezzo sta distribuendo beni alimentari attraverso alcuni volontari della parrocchia. C’è entusiasmo voglia di parlare e condividere, complice anche la consegna straordinaria di gelati, il sole, la musica e il clima di festa.


E’ impossibile non farsi coinvolgere da questa atmosfera. Nonostante la difficoltà degli abitanti in un quartiere difficile come questo, il corona, la precarietà del momento, i pochi soldi con cui si deve fare i conti ogni giorno: quello che colpisce sono i sorrisi. 

 

Mentre distribuiamo i pacchi di alimenti mi trovo a passarne uno a una ragazzina. Le chiedo quanti gelati vuole per la merenda, mi dice che sono in tre, lei e i suoi due fratelli. Sorrido, li prendo e le chiedo se vuole che le dia una mano a portare tutto in casa. Accetta e saliamo. E’ molto tranquilla, ha la voce pacata, sicura. Mi sento quasi in imbarazzo di fronte a quella spontanea fiducia.

 

Saliamo e arriviamo in un lungo corridoio, lo percorriamo fino a una piccola porta. La ragazza la apre ed entra in una saletta laterale in cui intuisco che c’è il frigo per i gelati, è una piccola cucina. Poi saliamo una scala stretta che porta in una stanza con due letti singoli, che fanno anche da divano, un tavolo e le sedie. Tutto minimale, ordinato, con qualche punta arabeggiante. E ci troviamo lì tutti e quattro, io lei e i due fratelli: 15 e 9 anni, lei ne ha 18. Tre ragazzi come tanti. 

Chiedo i loro nomi, e cominciamo a parlare della scuola, di come hanno seguito le lezioni durante l’emergenza. Mi rispondono tranquilli, si sono aggiustati con un pc acquistato grazie alla borsa di studio vinta dalla sorella, e poi il telefono di mamma. Non hanno il wifi, ma hanno i giga, con quelli sono riusciti a seguire.

 

Il grande mi dice che vuole diventare ingegnere informatico, gli chiedo se ama i videogiochi, dice sì e sorride imbarazzato. Al piccolo piace giocare a pallone, sembra il più scatenato. La sorella vorrebbe fare il medico, neuropsichiatra, dice che è affascinata dalle persone e dalla mente degli altri, da sempre. 

Rimango così, interdetta. La conferma che nessuna difficoltà può ostacolare i sogni. Quanta determinazione in questi ragazzi.

 

Continuano dicendo che sono nati qui, i genitori lavorano saltuariamente, un po’ al mercato un po’ facendo qualche ora nelle case.

Mi faccio lasciare il numero, vorrei conoscere la mamma. La voglio sentire per capire chi c’è dietro a queste tre persone, che mi hanno fatto entrare nella loro casa, con tutta la spontaneità che può avere chi trova la sua sicurezza nell’essere se stesso. 

 

La chiamo qualche giorno dopo. Le faccio i complimenti per i suoi ragazzi, è orgogliosa ha una voce decisa e al tempo stesso affabile. Mi dice che sono 21 anni che è a Torino, i figli sono nati qui e lei ha fatto qui anche una parte delle medie per avere un titolo di studio riconosciuto. 

Le chiedo come sono andati questi mesi. Mi racconta che il marito ha avuto il Covid19. E’ stato ricoverato, sono stati preoccupati, ma l’ospedale lo ha curato ed è tornato a casa. Hanno dovuto fare gli esami anche loro e stare in quarantena. Però è andato tutto bene. Con il cibo si sono barcamenati. Il pane lo fa sempre lei. La carne la comprano ogni tanto. Attraverso i volontari della parrocchia lì vicino hanno ricevuto da Banco Alimentare alcuni pacchi durante la quarantena. Dice che sono stati preziosi.

 

Pensa che l’aiuto non vada aspettato, ma che si debba essere attivi. La vita in Italia non è facile, ma crede che se si vive qui con l’idea di fare qualcosa di buono per sé e per il Paese, allora si può vivere bene. Mi parla dei tanti italiani che ha conosciuto in questi anni, le chiedo una battuta, dice che hanno un buon cuore.

Provo a chiederle del Marocco, mi spiega che quando era piccola era un Paese ricco, poi tutto è cambiato, ma che sua madre le ha insegnato che le cose piano piano arrivano. Bisogna saperlo, avere pazienza. Sapere che ci sono difficoltà, problemi, ma che con calma, studiando, lavorando, si può fare tutto. Andare avanti, migliorare. Piano, piano. La vita è così.

 

Ora è lei che mi chiede di me, se ho figli, quanti anni ho, dove andrà a finire questa storia. Chiacchieriamo. Finisco la telefonata, la saluto e le dico che forse ci risentiremo. Mi dice se posso scrivere al fondo dell’intervista “Viva l’Italia”, rido e la ringrazio. Metto giù e penso che il significato di questo aiuto alimentare che diamo influenza concretamente delle vite. Il fatto che ci sia qualcuno che si occupa di te, su cui puoi contare, in un mondo in cui sempre più si è isolati, rafforza e fortifica la volontà anche nei giovani, di impegnarsi per gli altri. L’aiuto è il punto di partenza che crea una catena positiva di solidarietà, che parte oggi e continua domani, sotto mille forme diverse, diventando reciproco. 

E allora penso che se tra dieci anni ritroverò questi, o altri dei ragazzi che aiutiamo, realizzati nei loro progetti, allora sì sarà valsa la pena finire questa storia con “Viva l’Italia!”.