Pierino: la pacatezza di chi affronta la vita muovendo le ali al ritmo giusto

Fa caldo come ad agosto, ma siamo a giugno. Ho preso solo un foglio che avevo stroppicciato in borsa e una matita che ha poca punta. Cerco una storia da raccontare, ma non voglio sembrare invadente. Per fortuna non sono sola, ci sono due volontari della mensa dei poveri lì della zona, convenzionata con noi, che hanno accettato di farmi andare con loro a consegnare gli hamburger appena ritirati. Oggi distribuiamo carne. Wow.

Entriamo da un cancello. All’interno infiniti condomini altissimi, tutti uguali.

Qualcuno ha avvertito la nostra presenza e si affaccia. Vedo la testa bianca di una signora, che mi sembra di una vecchiezza mai vista, apparire al secondo piano da dietro una tenda di plastica. Saluto. Sta ferma. Mi ricorda i bambini quando si bloccano sperando che tu non li veda.

Il nostro assistito vive nel primo palazzo, al piano terra.  Un balconcino fiorito di gerani rossi, un vaso di basilico e una pianta lunga che sembra una rosa. E’ talmente basso che potresti scavalcare ed entrare in casa con un salto. Le finestre sono aperte, ma da fuori non si vede nessuno. Io istintivamente ho controllato di aver chiuso la macchina per ben due volte. Invece qui è tutto aperto, anche gli altri balconi hanno le finestre spalancate.

Entriamo da un portoncino e suoniamo alla porta. Sono curiosa di vedere chi sta dietro a quei fiori così ben curati.

Eccolo.
Pierino, 83 anni, niente denti o quasi, capelli un po’ lunghi, bianchi, spettinati, occhi piccoli che ridono. Difficile vederne il colore, me li voglio immaginare azzurri. 
Si scusa perché si muove con un girello. Dice che lo hanno operato alle anche, da poco ed è stato tanto in ospedale. Ma niente Covid. Gli avevano promesso che lo avrebbero mandato a casa in verticale, non gli avevano detto, con quel trabicolo.

Ci presentiamo, gli dico che sto raccogliendo delle storie delle persone che aiutiamo e gli chiedo di raccontarmi di lui. Ci tiene a dire subito che non è piemontese, io infatti penso sia napoletano e glielo dico. Si arrabbia, dice che non è piemontese perché lui è torinese e ci tiene moltissimo. Vuole parlarmi in dialetto. Gli dico che non capisco una parola… Mi guarda un po’ male. Riparte in italiano…

Sono 15 anni che viene aiutato da Banco Alimentare, per lui i volontari sono una famiglia. Ricorda quando non aveva il gas, né la luce e non lavorava e loro lo aiutavano con la spesa, ma anche con le parole, con la presenza. Si appoggiava anche un po’ a un fratello che viveva con lui, ma ora non c’è più. Con lui invece vive la nipote.

Chissà perché alla parola nipote immagino una ragazzina. Invece arriva una donna. 65 anni, un caschetto di capelli grigi, sorriso a metà, occhi grandi, un po’ persi. E’ timidissima, tiene le braccia conserte come a darsi un contegno. Ha lo sguardo di chi non è stato abituato a decidere per sé.

Pierino ha parecchia voglia invece di essere protagonista e lei rimane accanto a sorridere, annuire, senza parlare.

 Scopro che è uno di 8 fratelli. La mamma ha tirato su anche questa nipote, abbandonata alla nascita perché prematura, la nona figlia. Lui aveva quasi 20 anni. Crescendo lei ha lavorato un po’ in una panetteria, poi li ha aiutati quando la madre era malata. Ora sta a casa, con lui. Si fanno compagnia.
E’ abituato a non mangiare. Si è allenato. Ha cominciato a 5 anni, c’era la guerra. Non si mangiava. Allora dava una mano in cascina e lo ripagavano con della farina. Così si poteva fare il pane. Il pane per quella generazione era sacro. Penso come è tutto cambiato. Il pane, il valore del cibo… E mi viene da pensare che una volta il pane era sostanza, convivialità, salvezza, ritualità. Quante differenze. Sono pure celiaca, non lo dico.

Crescendo, vivevano tutti insieme, fratelli mamma, nipote. Lui faceva il turno con sua madre per la cucina. Uno cucinava a pranzo, l’altra a cena. Così ha imparato, a fare il sugo buono, la pasta, la carne quando c’era. Racconta degli anni in cui ha fatto il camionista: 3 Inghilterre alla settimana mi dice, che vuol dire: 10.500 km al mese.

Quando è andato in pensione ha buttato tutto, camion e auto. Non ne voleva più sapere.

Gli sono rimasti un fratello, al San Giovanni Bosco, chiedo -ci lavora?-, risponde -no, malato-. Faceva l’idraulico, ha cominciato da bambino. Ora non si muove più. Ridendo dice che ha il water rotto e avrebbe bisogno di lui!
Un altro dei pochi vivi sta a Caselle, lavora in nero: ha 80 anni.

Anche adesso il capo in cucina è lui. Oggi dice però che non farà la spesa. Gli abbiamo portato il pranzo perfetto: spaghetti trafilati, pomodori pelati, 2 hamburger di fassona. Gli brillano gli occhi. Domani si vedrà.
Qui non c’è nulla di superfluo. Lo spreco non esiste. Si compra giorno per giorno. Solo quello che si mangia. L’unica cosa che non manca mai è l’olio. Ne compra di più e lo conserva, non vuole stare senza.

Mentre parla penso che Pierino mi ricorda Totò in Miseria e nobiltà. In questa cucina dove non c’è nulla di più di quello che serve e tutto è un po’ fatiscente, lui sembra un signore. Sta dritto, è elegante nel suo maglioncino beige di cotone a manica lunga. Nonostante il caldo. Nonostante la sua realtà. Lo ascolti perché sa cosa è la vita ed è riuscito a sopravviverle. Sarà stato il coraggio? La rassegnazione? L’ostinazione? Forse più semplicemente ha saputo attraversarla muovendo le ali al ritmo giusto.

Saluto. Scappo. E’ tardi. Devo ancora fare la spesa. Entro in un supermercato. Sono affannata. Compro, spero meno del solito. Vedo l’olio, mi fermo e sorrido. Mi torna in mente Pierino. I suoi gerani, la pacatezza del suo racconto. Io gli ho portato il suo pranzo perfetto, lui mi ha lasciato la curiosità di volare. Chissà quanti sono i battiti giusti. Intanto di bottiglie d’olio ne prendo una in più. Magari glielo chiedo.