I gesti molto più di tante parole

Sabato 3 ottobre, Sala Paolo VI, Città del Vaticano.

Papa Francesco entra alle 12 in punto. I settemila esplodono. Tra questi, nutrita è la delegazione del Fermano e del Sambenedettese guidata da Francesco Galieni, professione architetto. Si mischiano agli altri volontari dei banchi di solidarietà e del Banco Alimentare. È la loro giornata. Racconteranno al Papa del lavoro di migliaia di loro per raccogliere alimenti e distribuirli, dare un sostegno a milioni di poveri e nuovi poveri.

Francesco passa tra due ali di popolo che sventola i fazzoletti bianchi contenuti nella sacca dove i promotori hanno depositata l’enciclica rivoluzionaria “Laudato si’”, molto amata in questo ambiente. Le mani si tendono, il papa ne stringe quel che può. Ad un giovanissimo scivola la sacca, cade nel corridoio papale. Francesco se ne accorge, si ferma, ferma il corteo, tenta di flettersi per raccoglierla. Non ce la fa, probabilmente indossa il busto che gli sostiene la schiena dolorante. Allora si gira, invita la sua scorta a provvedere. Provvedono. Attenzione al particolare, attenzione ad ogni persona. Carità, che non è depositare un obolo nell’incavo della mano, e via. È avere qualcosa di caro, avere gli altri dentro di sé, canterebbe Giorgio Gaber. Il Pontefice non lo cita ma i concetti sono gli stessi. “Andate avanti perché fate un grande lavoro”. Queste cose le dice con la sua solita chiarezza.

I fermani e i sambenedettesi sono commossi e confermati, scorre qualche lacrima. È una mentalità che va cambiata, continua Bergoglio, un cuore, una cultura, alla fine, una politica. Marcello Naldini è il responsabile fermano del banco di solidarietà. Ogni tre/quattro settimane disciplina una squadra di volontari (ci sono anche mussulmani tra di loro) che prepara ottanta pacchi alimentari: piccoli, medi, grandi, a seconda del numero dei componenti delle famiglie e degli istituti assistiti. Migliaia le persone raggiunte. Una goccia nel mare del bisogno. Sicuramente. Madre Teresa direbbe che il mare ne avrebbe una in meno se non ci fosse quella goccia. Un mezzo, non il fine, dice un ragazzo presente all’incontro romano.

Un mezzo per creare una relazione con chi è in difficoltà. Gli alpini dell’Ana di Roma cantano, loro sanno cos’è la solidarietà. Il papa sferza: è uno scandalo lo spreco del cibo, è una ingiustizia. Poi, ci ripensa: “È un peccato”. Grave.

La pensava allo stesso modo l’imprenditore Danilo Fossati (Star) che insieme a don Luigi Giussani spinse per il Banco alimentare. Lo conferma la figlia Daniela, così come Andrea Giussani, attuale presidente del Banco nazionale, presentati da Alessandro Banfi, direttore di TgCom. “Proseguite su questa strada”, dice Papa Francesco, e Anna, volontaria di Fermo, ne prende appunto.

È la strada del recupero degli alimenti, della colletta alimentare, della consegna dei pacchi e dell’amicizia con la gente bisognosa. “Non possiamo fare i miracoli di Gesù”, spiega il Pontefice riandando a Cana, pensando ai pani e ai pesci moltiplicati. Possiamo però educarci a riconoscere l’umanità nostra e quella dell’altro. C’è una deriva antropologica nella cultura odierna, c’è un collasso del senso di umanità, avrebbe gridato Benedetto XVI.

C’è una urgenza - dice ancora Bergoglio - specie oggi con il fenomeno dell’immigrazione, “di fronte abbiamo persone con il loro fardello di dolore”. Il mandato allora è di “guardarle in faccia, esser loro fratelli e amici - farli sentire importanti agli occhi di Dio, restituir loro dignità di persone”.

Il Papa esce dopo circa un’ora. Accarezza i malati, abbraccia i bambini segnati dalla sofferenza. Con uno sembra non volersi staccare più.

I gesti più delle parole. Ed ora la Colletta. Tutti pronti per il 28 novembre.

Adolfo